Il trattamento delle schisi labiopalatine genera sempre una proliferazione di protocolli discordanti, il cui confronto lascia perplessi, in quanto non c'è dubbio che la frequenza e la gravità delle sequele dipendono soprattutto dalla natura del protocollo. Già da 20 anni, l'evidenza di una gerarchia all'interno delle funzioni facciali aveva ispirato un nuovo approccio alle schisi bilaterali con una vera rinoplastica primaria, allora discussa. In definitiva, essa sembra essere la risposta di maggior successo. Al di là dell'ambizione estetica, promessa di una buona integrazione sociale, essa instaura fin dalla prima operazione una ventilazione nasale, chiave di una crescita facciale armoniosa. Conferire priorità al naso, senza sacrificare le altre funzioni, richiede coerenza. Le prestazioni della valvola nasale dipendono non solo dalla cartilagine alare, ma anche dalla larghezza dell'orifizio piriforme e della volta palatina. Ogni passaggio deve servire a questo scopo. Qualunque sia la schisi, la correzione della narice è migliore se accompagna la chiusura labiale a 6 mesi. Allo stesso tempo, la veloplastica intravelare di Sommerlad produce una rapida riduzione della schisi residua del palato osseo, al punto che è chiusa a 18 mesi, in due piani, senza denudazione ossea e senza fistole o cicatrici retraenti. A 4 anni, la schisi alveolare è chiusa mediante gengivo-periosteo-plastica con innesto osseo, ma non prima che un'espansione mascellare anteriore abbia ripristinato la larghezza intercanina contemporaneamente a quella dell'orifizio piriforme: ventilazione nasale e masticazione centrata e simmetrica sono interattive e necessarie per una crescita normale. Questo protocollo riduce notevolmente le sequele. La recente evoluzione della seconda generazione di pazienti, già dell'età di 20 anni, ci incoraggia a continuare questo approccio promettente senza che possiamo già vederne il termine, poiché questa patologia confida i suoi segreti sulla crescita solo con estrema lentezza, di generazione in generazione.