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Trattamento chirurgico dei rettoceli - 22/02/10

[40-708]  - Doi : 10.1016/S1283-0798(10)56187-4 
G. Meurette : Praticien hospitalier, S. Avallone : Chef de clinique-assistant des Hôpitaux, P.-A. Lehur  : Professeur des Universités, praticien hospitalier
Clinique de chirurgie digestive et endocrinienne (Hôtel-Dieu), Institut des maladies de l'appareil digestif, Centre hospitalo-universitaire régional de Nantes, 1, place Alexis-Ricordeau, 44093 Nantes cedex 01, France 

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Résumé

Il rettocele è una condizione anatomoclinica estremamente frequente. Viene definito come un'ernia della parete anteriore del retto attraverso il setto rettovaginale. Le sue manifestazioni sono polimorfe: ginecologiche sotto forma di tumefazione vaginale eventualmente associata a prolasso urogenitale o digestive sotto forma di costipazione terminale e, in questo caso, spesso associata a una procidenza interna del retto. La decisione di intervenire si basa su un completo studio clinico pelviperineale e su uno studio funzionale che si fonda sulla valutazione radiologica anorettale (defecografia con opacizzazione delle anse del tenue o imaging defecatorio con RMN), sulla manometria anorettale e sullo studio urodinamico. La correzione dei rettoceli isolati avviene preferenzialmente per via inferiore, perineale. La via transanale tradizionale (Sullivan, Khubchandani) permette di eseguire la plicatura endoluminale della muscolare rettale e una resezione della mucosa rettale distesa dal rettocele. Essa tende a essere sostituita dalle tecniche di resezione rettale transanale con suturatrici (STARR e trans-STARR) (Longo). La via perineovaginale permette di accedere al rettocele dalla sua faccia esterna: la confezione di «borse di tabacco» concentriche e la rimessa in tensione della fascia rettale lo riducono; una miorrafia dei muscoli elevatori dell'ano con conservazione del calibro vaginale rinforzerà la riparazione e rimetterà in tensione il pavimento pelvico. La sospensione vaginale al legamento sacrospinoso (Richter) completa spesso utilmente l'insieme dell'intervento chirurgico. L'impiego di protesi di rinforzo del setto rettovaginale per via perineale è oggetto di controversia a causa del rischio di infezione e di esposizione del materiale innestato. Queste due tecniche hanno morbilità essenzialmente locale. I loro risultati funzionali, complessivamente buoni, restano però dipendenti dal contesto clinico e dalla scelta dell'indicazione chirurgica. L'accesso alto viene preferito quando sono necessari atti associati sull'apparato urinario e/o genitale, per un rettocele associato ad altri elementi di prolasso. Essa permette, dopo clivaggio rettovaginali e resezione del Douglas, di rinforzare il setto rettovaginale con una protesi non riassorbibile e di sospendere senza tensione le facce anteriore del retto e posteriore della vagina al promontorio lombosacrale. L'accesso laparoscopico è oggi predominante nella realizzazione dell'intervento di sospensione del settore posteriore della pelvi. Il trattamento chirurgico è indicato in presenza di qualsiasi rettocele sintomatico e quando la riabilitazione mediante biofeedback di un asincronismo addominosfinteriale e il trattamento medico della costipazione non abbiano corretto l'alterazione funzionale. In assenza di fattori predittivi del risultato operatorio il paziente dovrà essere informato del rischio di correzione incompleta dei sintomi o di insuccesso. Le anomalie associate della statica pelvica dovranno essere identificate al momento della presa in carico del rettocele e dovranno essere trattate contemporaneamente.

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Parole chiave : Ano, Retto, Vagina, Statica pelvica, Rettocele, Prolasso, Costipazione, Incontinenza, Resezione transanale con suturatrice meccanica, Sospensione vaginale, Laparoscopia


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