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Esposizione accidentale al sangue o ai liquidi biologici - 04/06/09

[24-135-A-20]  - Doi : 10.1016/S1286-9341(09)54494-8 
G. Le Guerroué : Praticien hospitalier, J.-L. Pourriat  : Professeur des Universités - praticien hospitalier
Services des urgences médicochirurgicales et médicojudiciaires, Hôtel-Dieu, AP-HP, Faculté de médecine Paris Descartes - Université Paris V, place du Parvis-Notre-Dame, 75004 Paris, France 

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Riassunto

A partire dal 1995 la Direzione Generale della Sanità (DGS) ha messo in atto l'accesso a uno schema di profilassi per l'esposizione accidentale al sangue o ai liquidi biologici (EAS) con il rischio di trasmissione del virus dell'immunodeficienza umana (HIV) per il personale sanitario. Successivamente, la DGS ha allargato l'accesso a questo tipo di profilassi alle esposizioni non professionali, specialmente sessuali. Il trattamento postesposizione (TPE) consiste in una triterapia antiretrovirale intrapresa in una persona esposta al rischio di trasmissione dell'HIV. Il TPE deve essere iniziato il prima possibile, al più tardi entro le prime 48 ore dall'esposizione. Il TPE associa due inibitori nucleosidici della transcriptasi inversa e un inibitore della proteasi. Nelle strutture sanitarie è stato messo in atto un dispositivo nazionale per la gestione rapida delle EAS. I servizi di urgenza sono stati associati a questo programma di gestione di una persona esposta per favorire l'accesso rapido alla triterapia. Un medico referente prende in consegna l'indicazione al mantenimento della profilassi e garantisce il follow-up al paziente. Il sistema di riferimento è ampio: medici infettivologi dei centri di informazione e di cura dell'immunodeficienza umana (Centres d'information et de soins de l'immunodéficience humaine - CISIH), medici di base, medici del lavoro e centri di screening anonimo e gratuito (Centres de dépistage anonyme et gratuit - CDAG). Il rischio dell'esposizione viene rivalutato secondo la fonte, il tempo e l'evento contaminante. Il TPE viene mantenuto se il rischio è reale. Vengono sorvegliate anche le co-infezioni, in particolare le epatiti B e C. Nell'ambito delle attività sanitarie l'applicazione delle raccomandazioni standard e l'uso di materiale securizzato devono permettere di ridurre la frequenza delle EAS. Al di fuori delle situazioni professionali, mentre la prevenzione della trasmissione dell'HIV è conosciuta dalla popolazione generale, la possibilità di ricorrere a una profilassi postesposizione sembra misconosciuta e sottoutilizzata.

Il testo completo di questo articolo è disponibile in PDF.

Parole chiave : HIV, Valutazione del rischio, Profilassi, Epatite B, Epatite C


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