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Terapia neurochirurgica dell'epilessia - 01/01/01

[17-700-D-10]
Claudio Munari : Neurochirurgien, professeur agrégé de neurochirurgie
Institut de neurochirurgie, université de Gênes, coordonnateur du centre régional de chirurgie de l'épilepsie, hôpital Niguarda Milan  Italie
Philippe Kahane : Neurologue, assistant hospitalo-universitaire de physiologie, neurophysiopathologie du sommeil et de l'épilepsie, secteur épilepsie
Laboratoire de physiologie, clinique neurologique et unité INSERM 318, centre hospitalier régional et universitaire de Grenoble, BP 217 X, 38043 Grenoble cedex France

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Articolo archiviato , inizialmente pubblicato nel trattato EMC : Neurologia

Riassunto

Sebbene non sia rivoluzionario nel principio (i primi pazienti sono stati operati alla fine del XIXo secolo), il trattamento neurochirurgico dell'epilessia - o più precisamente delle epilessie parziali gravi farmacoresistenti - ha suscitato, fin dagli inizi degli anni Ottanta, un entusiasmo crescente nei paesi industrializzati. Questo è dovuto non soltanto all'affinamento considerevole delle tecniche, che ha permesso di ottimizzare sia l'affidabilità sia la sicurezza degli approcci diagnostici e terapeutici, ma anche all'elevata percentuale di pazienti operati che beneficiano della soppressione o della riduzione molto significativa della frequenza degli attacchi, con una scarsa morbilità e una mortalità quasi nulla. Questi risultati dipendono tuttavia da alcuni fattori, tra i quali in primo luogo il tipo di epilessia, l'eventuale presenza di una lesione cerebrale ritenuta responsabile e la metodologia utilizzata nella valutazione preoperatoria dei pazienti.

La chirurgia è indicata nelle epilessie gravi e non curabili farmacologicamente, soprattutto quelle parziali, ovvero quelle in cui è coinvolta una porzione limitata della corteccia cerebrale. Gli interventi chirurgici a scopo curativo, di gran lunga i più diffusi, consistono nell'exeresi più radicale possibile delle strutture cerebrali primitivamente interessate dalle scariche critiche, la «zona epilettogena», a condizione che questa zona sia unica, stabile, accessibile e, ovviamente, topograficamente ben definita. Si parla allora di corticectomie, sebbene si tratti spesso di resezioni lobari o anche multilobari più o meno estese. Il coinvolgimento di regioni funzionali può giustificare il ricorso a transezioni complementari sottopiali multiple, il cui principio è di bloccare l'espansione intracorticale delle scariche preservando la funzione. In condizioni estreme, in alcune epilessie infantili, può essere indicata la rimozione di un emisfero leso che ha perso la maggior parte delle sue funzioni (emisferectomia). A parità di efficacia si può optare anche per una semplice disconnessione (emisferotomia), che evita di lasciare uno spazio morto voluminoso che rischia di generare una emosiderosi tardiva. Gli interventi a scopo palliativo, alcuni dei quali «storici», consistono attualmente soprattutto nell'interruzione delle vie di propagazione delle scariche (callosotomia) o - almeno da un punto di vista teorico - nella modulazione dei meccanismi di ipersincronia che caratterizzano il processo epilettogeno (stimolazione vagale cronica). Le loro indicazioni superano a volte il solo quadro delle epilessie parziali resistenti ai trattamenti farmacologici.

Queste diverse tecniche operatorie, per quanto perfettamente eseguite, non devono tuttavia nascondere il fattore essenziale dell'approccio chirurgico dell'epilessia, ovvero la necessità di strategie di valutazione preoperatorie rigorose, adeguate alle caratteristiche cliniche, elettrofisiologiche e anatomiche proprie di ogni singolo paziente. Sono infatti questi iter a monte dell'intervento terapeutico, se necessario di tipo invasivo, che condizionano la scelta e di conseguenza l'efficacia del trattamento e che consentono, successivamente, l'analisi critica dei successi ma anche degli insuccessi terapeutici.



Parole chiave : epilessia, scariche unifocali, test di Wada, elettrodi, exeresi lesionali, emisferectomia, corpocallosotomia

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