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Extensions au pelvis des ostéosynthèses rachidiennes - 03/02/14

[44-196]  - Doi : 10.1016/S0246-0467(13)62785-3 
M. Bachy, R. Kabbaj, B. Bouyer, P. Mary, R. Vialle
 Service de chirurgie orthopédique et réparatrice de l'enfant, Hôpital Armand Trousseau, Université Pierre et Marie Curie Paris-6, 26, avenue du Docteur Arnold-Netter, 75012 Paris, France 

Auteur correspondant.

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Riassunto

L'extension au pelvis d'une ostéosynthèse rachidienne est justifiée dans le traitement de certaines tumeurs rachidiennes ou de déformations sévères de la charnière lombosacrée, souvent d'origine neurologique. Les conditions locales sont parfois mauvaises car le sacrum offre souvent un ancrage médiocre alors que les contraintes appliquées sur le matériel sont importantes. Les ostéosynthèses lombopelviennes sont associées à une plus grande morbidité que les ostéosynthèses rachidiennes seules. L'ostéosynthèse peut être uniquement fixée sur le sacrum (vissage intrasacré, plaque sacrée, technique de Dunn-McCarthy) ou étendue à l'aile iliaque (technique de Galveston, vissage iliaque). D'autres techniques associent une prise répartie entre l'aile iliaque et le sacrum avec différents systèmes segmentaires (plaques sacrées, vis iliosacrées ou montage segmentaire bi-iliosacré). Quelle que soit la technique retenue, l'extension au bassin des ostéosynthèses rachidiennes reste une procédure chirurgicale délicate qui nécessite une réflexion stratégique au cas par cas et une réalisation technique irréprochable. La courbe d'apprentissage reste difficile, notamment chez les patients fragiles, maigres, ostéoporotiques ou ayant une anatomie lombopelvienne modifiée.

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Mots-clés : Ostéosynthèse du pelvis, Fixation pelvienne, Scoliose neurologique, Scoliose neuromusculaire, Ostéosynthèse rachidienne, Obliquité pelvienne


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