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État de choc cardiogénique - 21/04/12

[36-840-C-10]  - Doi : 10.1016/S0246-0289(12)44706-5 
R. Pirracchio
Service d'anesthésie-réanimation, Hôpital européen Georges Pompidou, Université Paris V, Unité INSERM UMR-S717, Hôpital Saint-Louis, 1, avenue Claude-Vellefaux, 75475 Paris cedex 10, France 

Article à jour au 23/05/2018

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Riassunto

Le choc cardiogénique peut se définir comme une insuffisance circulatoire dont le primum movens est la défaillance cardiaque, qu'elle soit gauche, droite ou globale. Néanmoins, il apparaît de plus en plus clairement que cette défaillance est rapidement responsable d'une activation de la cascade inflammatoire de réponse systémique, responsable d'une complexification et d'une pérennisation de la défaillance. Le tableau de présentation clinique est de gravité variable et s'il comprend, par définition, l'existence de signes de défaillance d'organe, l'existence d'un œdème pulmonaire (OAP) est inconstante et dépendra du degré d'altération de la fonction ventriculaire droite. Les objectifs principaux s'articulent autour de trois points : prise en charge précoce, traitement étiologique et optimisation hémodynamique. Ce dernier point fait en général appel en premier lieu à une épreuve de remplissage vasculaire, suivie d'un recours aux inotropes puis aux vasoconstricteurs en cas d'inefficacité. Cette stratégie devra au mieux être guidée par un monitorage adéquat dans lequel la ScvO2 a sans doute une place importante. Enfin, le recours aux inotropes devra toujours faire envisager une stratégie de sevrage précoce des catécholamines, qui si elle s'avère impossible, doit faire évoquer le recours aux méthodes d'assistance circulatoire.

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Mots-clés : Physiopathologie, Saturation veineuse, Inotrope, Lévosimendan, Traitement étiologique, Assistance circulatoire


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