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Hypophosphatémie - 30/04/12

[1-1361]  - Doi : 10.1016/S1634-6939(12)58951-9 
T. Stehle, M. Flamant
Service de physiologie-explorations fonctionnelles, Hôpital Bichat, Université Paris 7, 46, rue Henri-Huchard, 75877 Paris cedex, France 

Auteur correspondant.

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Riassunto

L'hypophosphatémie est définie par une concentration plasmatique de phosphate inférieure à 0,85 mM. Les conséquences cliniques et la prise en charge diagnostique diffèrent en fonction du caractère aigu ou chronique du trouble. L'hypophosphatémie aiguë est souvent d'origine extrarénale, par transfert intracellulaire ou osseux de phosphate, ou par perte digestive. L'interrogatoire et le contexte clinique sont généralement suffisants pour en définir l'origine étiologique. Le traitement est celui de la cause, et éventuellement l'apport exogène de phosphate. Lorsqu'elle est sévère, l'hypophosphatémie aiguë expose au risque de défaillance cardiorespiratoire. L'hypophosphatémie chronique est une anomalie métabolique relativement fréquente. Elle expose à long terme à un risque osseux ou lithiasique rénal. Une carence en vitamine D native doit être recherchée en première intention. En l'absence de carence, l'étude de la calcémie, de la parathormone (PTH), de la 1,25 OH vitamine D et du comportement rénal du phosphate permettent une orientation diagnostique rapide, soit vers une cause extrarénale, soit vers une fuite rénale de phosphate, qu'elle soit primitive ou secondaire, en particulier au cours de l'hyperparathyroïdie primaire.

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Mots-clés : Hypophosphatémie, Vitamine D, PTH, Calcitriol, Tubule proximal, Rachitisme


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