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Fractures du pilon tibial - 01/01/99

[14-087-A-10]
Stéphane Plaweski : Praticien hospitalier
Arnaud Huboud-Peron : Interne des Hôpitaux
Claude Faure : Professeur des Universités, praticien hospitalier
Philippe Merloz : Professeur des Universités, praticien hospitalier
Service d'orthopédie-traumatologie, centre hospitalier universitaire Michallon, BP 217 X, 38043 Grenoble cedex France

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Riassunto

Les fractures du pilon tibial restent un problème d'actualité : sur le plan thérapeutique, le consensus n'est pas réalisé tant sur le plan stratégique opératoire que méthodologique ; à court terme, l'importance de la force vulnérante et la situation directement sous-cutanée du pilon tibial incitent à la plus grande prudence quant à la réalisation des techniques chirurgicales à foyer ouvert ; à long terme et souvent malgré une excellente réduction initiale, l'évolution se fait vers l'arthrose. Le symposium Sofcot de 1991 a permis de mettre en évidence les facteurs pronostiques suivants : pour les fractures partielles, il s'agit des lésions cutanées initiales ; seule une ostéosynthèse à foyer ouvert semble garante d'un bon résultat tenant compte de la plus grande gravité des déplacements antérieurs ; pour les fractures totales, l'état cutané et la comminution articulaire apparaissent les plus pathogènes. L'attitude chirurgicale cherchant à restaurer l'interligne (marche d'escalier inférieure à 2 mm) et une bonne congruence doit être tempérée par un pourcentage non négligeable de complications précoces. Le choix thérapeutique d'une fixation externe associée à une ostéosynthèse première du péroné restaurant la longueur et/ou à une ostéosynthèse a minima est apparu comme une bonne alternative dans les fractures comminutives ou avec troubles trophiques.

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